sulle nostre pagine ritorna Silvia, che vi era piaciuta moltissimo nel suo primo post sulle sue passioni e il suo mondo handmade.
Oggi ci parla della sua Londra e quindi io non voglio portarle via altre righe, lascio direttamente la parola a lei e alle sue immagini.
Enjoy your trip.
Da quando mi hai proposto di scrivere della mia Londra ho iniziato a pensare a quello che ti avrei raccontato. Ero convinta di riuscire a scrivere velocemente un bel post che raccontasse la mia Londra, la mia esperienza e le mie impressioni.
Sottovalutavo la cosa.
Cos'è Londra dentro il mio cuore?
La domanda è questa ma la risposta non è così immediata.
Per rispondere devo sedermi, chiudere gli occhi e provare a immaginarmela ... la mia città multiculturale.
Arrivano migliaia di ricordi, colori, suoni, odori, parole, accenti, risate, lacrime, paure.
Bisogna fare ordine perchè mi travolgono in disordine, si accavallano anni e persone nella mente.
Allora, visto che non è affatto facile raccontare di Londra partendo da un ricordo qualunque, ho deciso di raccontarla partendo proprio dal principio, da quando una mattina di gennaio sono andata in aeroporto e, per la prima volta in vita mia, avevo in tasca un biglietto di sola andata. La destinazione era un paese di cui ignoravo pressochè tutto, compresa la lingua.
Mi trasferivo per raggiungere mio marito e per provare a reinventarmi.
Londra mi accoglieva in 15 metri quadri. Era tutto quello che ci potevamo permettere, 15 metri quadri che mio marito si era faticosamente accaparrato firmando il contratto d'affitto prima che altre decine di interessati glielo fregassero.
Erano 15 metri quadri all'ultimo piano di una vecchia casa vittoriana (quelle con le colonne bianche al portone d'ingresso, per intenderci). La casa, in origine probabilmente monofamiliare, era stata riadattata a condominio e conteneva circa 12 monolocali.
Dodici stanze autosufficienti, ognuna con angolo cottura, bagno, letto, frigorifero.
Vivevamo in una stanza superorganizzata che conteneva in ogni angolo un elemento vitale. In un angolo il letto, in un altro l'angolo cottura, il terzo angolo ospitava l'unica cassettiera, il quarto angolo era la porta d'ingresso. Su una parete si apriva una finestra sul mondo e sulla parete opposta la porta del bagno. In bagno ci si poteva entrare singolarmente, non per abitudine, per forza.
La casa non era in buone condizioni, il pavimento tremava ogni volta che passava il bus e tutte le volte che mio marito camminava da una parte all'altra della stanza. I primi giorni soffrivo di mal di mare. I muri erano storti, il soffitto formava una conca preoccupante proprio al centro, la finestra aveva mezzo centimetro di quello che noi italiani chiamiamo spiffero, dalla doccia usciva acqua che allagava il pavimento (fatto da piastrelle adesive) e anche dal soffitto del bagno scendeva acqua che andava a riempire il lampadario a boccia facendo saltare la luce.
Eravamo fortunati. A Londra chi arriva senza lavoro si trova a condividere la casa con almeno altre cinque persone. Noi eravamo soli, se non consideriamo le lavatrici in condivisione in giardino, ed eravamo fortunatissimi.
Abbiamo vissuto così per quasi un anno. Mio marito, alto quasi un metro e novanta, ha fatto di tutto per rendersi piccolissimo, per non essere d'intralcio tra me e l'amore per Londra che stava per nascere.
Come si può vivere in due in 15 metri quadri per un anno?
Si può se la tua casa si trova a meno di 400 metri dalle famosissime strisce pedonali che i Beatles hanno attraversato per la copertina dell'album "Abbey Road".
Si può se i caffè ti accolgono davanti a una tazzona di latte fumante senza farti sentire straniero, mentre fuori ti passa davanti il mondo intero.
Si può se per conoscere meglio la città puoi avere in tasca solamente il biglietto dei mezzi pubblici ed entrare gratuitamente in tutti i musei e gallerie d'arte più importanti.
Si può se hai davanti agli occhi queste immagini
E poi diciamocelo, saranno stati 15 metri quadri, però era una casa carina da matti.
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